Descrizione
Una delle manifestazioni più importanti di uno Stato moderno è la sua funzione fiscale, ovvero il potere dello Stato (o di un ente di diritto pubblico, dato che la funzione fiscale non è, nella maggior parte dei Paesi, prerogativa esclusiva del governo centrale) di imporre tasse ai cittadini.
La funzione fiscale determina la necessità per uno Stato moderno di sviluppare un sistema fiscale, cioè un insieme di norme, regolamenti, unità organizzative e procedure per l’accertamento e la riscossione delle imposte. In Italia le aliquote fiscali sono molto elevate, soprattutto sui redditi da lavoro. Per circa 25 anni, dalla metà degli anni Sessanta ai primi anni Novanta, l’Italia ha attuato politiche fiscali insostenibili. Gli elevati disavanzi, derivanti dai persistenti squilibri primari, hanno
alimentato l’accumulo del debito pubblico. Nel 1994, il debito ha raggiunto il 124% del PIL. Nello stesso periodo, le passività pensionistiche future sono aumentate gradualmente fino a raggiungere circa il 400% del PIL. La politica fiscale e il rapido invecchiamento della popolazione hanno portato le finanze pubbliche su un percorso insostenibile, con ampi squilibri generazionali e deficit prospettici. L’Italia ha dovuto far fronte a una bassa crescita economica a partire dagli anni
Novanta.
La crescita della produttività è sempre stata anemica e in ritardo rispetto a quella dell’area. Impantanata in rigidità di lunga data, l’economia non è riuscita a trarre vantaggio dall’appartenenza all’euro per modernizzare le proprie istituzioni o adattarsi al mutevole panorama commerciale e tecnologico globale.
Anche l’elevato debito pubblico e l’inadeguata composizione della politica fiscale hanno contribuito alla scarsa performance dell’Italia. Il debito pubblico, che supera il 140% del PIL ed è 4 il secondo più alto in Europa, è una fonte permanente di vulnerabilità – si vedano Reinhart e Rogoff (2010) e Chudik et al. (2013, 2017) che discutono le conseguenze di un debito pubblico elevato e crescente sulla crescita economica. L’Italia ha registrato in media avanzi primari di bilancio più elevati rispetto agli altri Paesi dell’area dell’euro, ma insufficienti per ridurre il debito e garantire la
stabilità. Anche la qualità della politica fiscale non è stata sufficientemente favorevole alla crescita inclusiva. Il peso dell’elevata tassazione ha gravato sul lavoro, gli investimenti pubblici sono stati ridotti e le prestazioni sociali si sono concentrate su pensioni generose. È quindi importante puntare a un avanzo primario sufficiente a ridurre il debito, sostenuto da misure di qualità per la crescita e l’inclusione.
Per finanziare la crescente spesa del settore pubblico, compensando al contempo la perdita di gettito dovuta alla complessità del sistema, le aliquote fiscali marginali sono tra le più alte dell’UE.
Il cuneo fiscale medio sui redditi da lavoro4 in Italia è del 47,9%, superiore alla media dell’UE-15 del 41,8% e ben al di sopra della media OCSE del 35,9%. Inoltre, mentre il cuneo fiscale sul lavoro nei Paesi dell’UE-15 è diminuito di circa il 2% dal 2000, in Italia è aumentato di circa lo 0,8%.
Inoltre, un pesante cuneo contributivo pesa anche sul reddito dei lavoratori dipendenti per finanziare un sistema previdenziale pubblico che sta sempre più affrontando un grave calo demografico.
L’obiettivo di questo documento è analizzare lo stato attuale e l’evoluzione della tassazione delle diverse componenti del reddito da lavoro dipendente, illustrando le principali proposte di riforma del sistema.
Giovanni Campisi (Consulente Aziendale IT)






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